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martedì 30 giugno 2020

29 e 30 giugno - scrivere per viaggiare

Quando si ha tempo si scrive. Se si ha voglia. Se si ha qualcosa da dire. Se chi scrive lo ritiene necessario, intanto a se stesso. Gli altri poi, se vogliono leggono. Oppure, come ho già scritto, a futura memoria. Con qualsiasi mezzo. Immagino chi, in altri tempi, ma anche di recente, in una parte del globo che pensiamo lontano ma che in realtà coi mezzi potenti di trasporto distano a un'ora d'aereo, immagino appunto chi recluso abbia con forza reclamato penna e carta su cui scrivere. Anche un pezzo di carta scolorita, la parte posteriore di un manifesto strappato, o di cartone, con un mozzicone di lapis. Una volta avuto gli strumenti ha iniziato un viaggio di fantasia. Intanto prendere nota di quanto accade, ovviamente l'idea di fuga, oppure scrivere teorizzare perché gli altri leggano. Secondo me per evadere. Dalla restrizione. Viaggiando. Un po' come diceva Pessoa in Viaggiare! Perdere paesi! "Viaggiare così è viaggio. Ma lo faccio e non ho di mio/più del sogno del passaggio./Il resto è solo terra e cielo."
Se penso alla bibliografia di chi ha vissuto recluso o su chi è stato in quella condizione. Bene nella Fase-Uno dopo un primo periodo frastornato credo che in tanti abbiano iniziato a scrivere con mezzi agili e potenti. Senza preoccuparsi di averne gli strumenti perché tutti a portata di mano. Lo so stiamo parlando di due forme diverse di reclusione di chiusura di restrizione. Eppure l'approccio può essere stato di chi chiuso fra mura, di casa?, obbligato a starci abbia sentito il bisogno di scrivere e lo abbia fatto. Chissà fra vent'anni potremo leggere con distacco e un po' di divertimento alcune pagine, in rete o su carta, di chi sommamente preoccupato del proprio destino, barricato in casa ha scritto. O ha disegnato. Siamo in un epoca in cui la condivisione dei saperi è ampiamente diffusa ma anche quello in cui si assiste ad una ipertrofica informazione, vera o falsa, che ci ottunde la ragione. Troppi social troppe chiacchiere. Agli inizi del millennio, diciamo prima anni del duemila, i blog parevano delle autostrade percorse da tutti. Con incontri-scontri anche tra idee e anime diverse. Si scriveva il post. Chi ti seguiva, e non solo, poteva commentare, si replicava, e nel frattempo si scriveva un altro post. Tutto con la pacatezza la tranquillità e il tempo che, l'autore del blog, voleva o poteva dedicare. L'avvento dei social come fb ha spazzato via questo strumento, decretando la fine fi piattaforme importanti e ampiamente frequentate come splinder. Torniamo ad oggi. In questa fase che potremo definire attendista stiamo condividendo col covid19 in attesa della pozione che vi salverà cercando di rubare del tempo all'avversario, talvolta facendo finta che non esiste nella speranza di tornare alle nostre occupazioni in perfetta normalità. Tutto intorno però siamo in pandemia, con dieci milioni di contagi. Ci dicono che in autunno potrebbe tornare come agli idi di marzo. O anche no. Perché nel frattempo ai terrapiattisti si è unita una folta schiera di virologi d'occasione che dubitano che la peste vi sia. Intanto dicevo si va avanti anche scrivendo per ammazzare il tempo nel riordino delle idee.
Le convinzioni vere o false nel frattempo dilagano così come le male abitudini di tenere i dispositivi appresso come orpelli, magari griffati, o che si abbinano al colore dei capelli o del vestito. In una trasmissione ho visto che i truccatori disagiati ecc. si stanno attrezzando per far risaltare gli sguardo, gli occhi, quella parte visibile a tutti.
Da un momento all'altro mi aspetto una sfilata di moda si questo argomento, forse c'è già stata. Giusto per caratterizzare il periodo
Quindi tempo per scrivere e per bere. Anche se i bar e birrerie non vivono un periodo d'oro, anzi, non li pare che ci dia stata una diminuzione del consumo di bevande alcoliche. Si è forse imparato a bere meglio e di qualità, spendendo meno, in particolare con gli acquisti in rete. Nei paesi, i piccoli centri soprattutto, il bar è un punto di incontro fra conoscenti amico e paesani. Credo che così come Camus descriveva la città di Orano ne La Peste non credo che diversa di tanto da quanto accade oggi.
“A dir la verità si beveva molto. Un caffè aveva inalberato la scritta “il vino probo uccide il morbo”, l’idea, di per sé naturale nel pubblico, che l’alcool preservava dalle malattie infettive, si rafforzò nell’opinione generale.”

Prosit a tutti.




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