Disclaimer

Disclaimer
“CoronDiario” è un blog personale e non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n° 62 del 7.03.2001.

Verranno cancellati i commenti ritenuti offensivi o lesivi dell’immagine o dell’onorabilità di terzi, di genere spam, razzisti o che contengano dati personali non conformi al rispetto delle norme sulla Privacy

Cookie Policy
Comunico ai lettori che questo blog utilizza cookie. Se si prosegue nella lettura senza disattivarli dal proprio browser o cliccando “ok” dal banner inserita dalla piattaforma di Blogger equivale ad acconsentire al loro utilizzo. Per maggiori informazioni consultare l'apposita pagina "Disclaimer, Privacy & Cookie”, oppure clicca “ulteriori informazioni” dal banner di Google.

sabato 11 aprile 2020

10,11 aprile 2020 - fine dell'american dreaming

Ieri nuovo DPCM che ci blinda in casa fino al 3 maggio con possibilità di aprire le librerie al pubblico.
Oggi, vigilia di Pasqua parto da una riflessione: leggo che il coronavirus nel mondo ha già mietuto circa 100.000 vittime. 
Fra queste la percentuale più altra fra gli ultra settantenni, con una o più malattie pregresse, ma in particolare fra le classi meno abbienti. Dunque se mi ero fatto un'idea che il virus è democratico mi sbagliavo di grosso. Il virus ha un potenziale democratico, può colpire tutti, come sempre la possibilità di contagio dipende dalle condizioni materiali, da dove si vive dalla densità di popolazione e, ovviamente, dalle condizioni igieniche. Nei quartieri alti dove ci si chiude nelle proprie ville la probabilità scende allo virgola zero zero uno rispetto a chi vive negli slum o baraccopoli. Commentando le notizie del Tg di rainews24, dove le immagini che scorrevano mostravano una baraccopoli di Nairobi, mia madre ne è sortita di getto con una frase in limba che inquadra quella che in sintesi è, sempre, una questione di classe (sociale): "sos riccos ana a esser agorraos in sas villas, sos poberos in barraca. De cussos no nde moridi mancu unu", tradotto "i ricchi sono blindati nelle loro ville. I poveri nelle baracche. Dei primi non muore nessuno.
Se anche fosse, cioè se gli appartenenti alle classi agiate in seguito al contagio perissero, affronterebbero la malattia e la morte in ospedali di lusso. Parlo ovviamente di ciò che accade negli USA dove la sanità è interamente privata e se perdi il lavoro rischi di morire in strada. Ad oggi nel nord America oltre mezzo milione di contagiati, quasi 20.000 vittime.
Così scopri che a New York sono 7000 e 4.000 solo nell'ultima settimana. Il numero è talmente alto che non riescono a dare a tutti degna sepoltura. Per cui come si legge nella maggior parte dei quotidiani, ad essere sepolti nell’isola di Hart Island sono prevalentemente i senzatetto e gli indigenti, la fascia sociale più colpita dal virus. Le statistiche dicono che nell'isola se prima del Covid-19 si trattava di 25 sepolture la settimana, ora si parla di oltre 30 al giorno. La cosa più allucinante è che a svolgere il lavoro di sepoltura sono i detenuti del carcere di Rikers Island, dove si consuma un dramma parallelo, comune ad altre prigioni, dove il virus ha gioco facile. (Da Il Manifesto https://ilmanifesto.it/lisola-cimitero-di-new-york-dove-i-poveri-sono-seppelliti-dai-detenuti/)
Dunque due più due fa sempre quattro. Se sei ricco hai una degna sepoltura, se si povero verrai tumulato nelle fosse comuni e al termine di questa pandemia non avrai diritto neppure ad un fiore.
Una riflessione corre veloce in parallelo fra quanto visto gli scorsi giorni qui in Italia, nella bergamasca, i 70 camion militari che trasportano le salme delle vittime covid19, quanto meno per garantire a tutti una degna sepoltura, e le immagini dall'alto delle fosse comuni di Hart Island. Da noi la sanità è principalmente pubblica in servizio di sanità nazionale anche dopo i tagli lineari ai bilanci per 37 miliardi in questi ultimi anni. Negli USA no.
Nella settimana della passione di Cristo si infrange il sogno americano, patria del capitalismo mondiale, l'american dreaming che ha fatto sognare in tanti negli anni 60 e 70 complice anche i mega raduni musicali ed una certa parte della letteratura che ha ispirato la beat generation, perché negli USA potevi scorrazzare libero negli spazi sconfinati e cambiare lavoro quanto e quando volevi.
Oggi, quelle fosse comuni, stridono fortemente sullo slogan di Trump, e di Regan, Make America Great Again. Intanto si muore.

Questo brano dei Dead Can Dance credo sintetizzi questa riflessione.

When I walk into the promised land
We've been too long American dreaming
And I think we've all lost the way
(...Quando cammino nella terra promessa
E penso che tutti noi abbiamo perso la strada
Siamo stati troppo a lungo il sogno americano...)






Nessun commento:

Posta un commento